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Educazione e COVID -19

O del perché la pandemia rende evidente quanto sia ancora più indispensabile l’educazione alla cittadinanza globale. 

La pandemia da COVID-19 è uno di quegli esempi di discontinuità nella vita sociale che solitamente sono oggetto di studio da parte degli storici. Senza aspettare la distanza dei tempi lunghi già oggi sono evidenti alcuni cambiamenti nel nostro modo di pensare, di vivere e di insegnare e, come in ogni crisi, è forse già possibile intravedere, oltre le sofferenze, anche le opportunità che i grandi mutamenti sociali portano con sé. 

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ci insegna, coerentemente con l’Agenda 2030, che esiste un solo Pianeta, che non si può prescindere dall’interdipendenza tra paesi tra esseri viventi ed ecosistemi e che soluzioni credibili a problemi globali non possono venire da prospettive esclusivamente nazionali e nazionaliste.

I valori dell’ECG

Non si possono non richiamare allora i valori che sono alla base dell’educazione alla cittadinanza globale (ECG), cruciale per la realizzazione dell’Obiettivo 4 dell’Agenda (Assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti) e pre-requisito per il raggiungimento di tutti gli altri obiettivi dell’Agenda.

Se l’ECG è ...”un paradigma che sottolinea come l’educazione possa sviluppare la conoscenza, le abilità, i valori e le attitudini di cui le persone in apprendimento hanno bisogno per assicurare un mondo giusto, in pace, tollerante, inclusivo, sicuro e sostenibile” (UNESCO 2014, pag. 9), allora c’è uno stretto legame tra questo tipo di educazione e le scelte che l’umanità farà a livello sociale, culturale, politico ed economico per uscire da questa crisi e prevenirne altre. 

Per guardare alla situazione con uno sguardo ampio e per immaginare scenari futuri e azioni possibili può essere utile usare alcune categorie di pensiero e competenze proprie dell’educazione alla cittadinanza globale.

DISCONTINUITÀ STORICA

Una prima categoria probabilmente stimolante è legata al concetto stesso di discontinuità storica. Non è una categoria a cui le nostre menti sono abituate e l’arrivo del COVID-19 ce lo ha confermato. Per anni, se non per decenni, abbiamo pensato, nel cosiddetto mondo occidentale, che la vita media delle persone si sarebbe allungata progressivamente e ineluttabilmente, che i sistemi sanitari sarebbero diventati un costo che poteva essere limitato (a fronte di una situazione della salute pubblica comunque destinata a migliorare nel suo complesso), che le grandi epidemie appartenevano ai racconti di scrittori e di fatti immersi in secoli o luoghi lontani. Come spesso accade le vicende storiche si incaricano anche oggi di smentire l’idea di progresso lineare e ininterrotto, così come è avvenuto all’inizio del ‘900 quando la prima guerra mondiale ha interrotto l’idea che i diritti civili stessero inesorabilmente progredendo (almeno in quello che poi si sarebbe chiamato mondo occidentale). Così è accaduto nel 1929, nel 1973 e nel 2008, quando crisi economiche improvvise hanno fermato quel moto di crescita della ricchezza media che pareva garantito dalla natura stessa del capitalismo.

INTERCONNESSIONE

Una seconda categoria del pensiero a cui rivolgere l’attenzione può essere il concetto di interconnessione. Tutti sappiamo che la realtà sociale e ambientale è interconnessa e che il classico battito di ali di farfalla può produrre cataclismi in un altrove apparentemente lontano. Ma ogni volta questo concetto va calato nelle vicende concrete per aiutare il nostro pensiero a sviluppare quella plasticità che ci aiuta ad interpretare al meglio i momenti complessi. Se poniamo in connessione il fenomeno del COVID-19 con tre grandi temi quali il rapporto tra esseri umani e natura, le diseguaglianze (internazionali e di genere), le migrazioni, scopriamo che ciascuno di questi collegamenti ci restituisce un punto di vista utile per comprendere meglio i problemi e, auspicabilmente, anche per agire meglio verso la loro risoluzione. 

Attraverso un filmato dell’Agenzia Spaziale Europea caricato su YouTube (Coronavirus: nitrogen dioxide emissions drop over Italy) è possibile vedere le dinamiche di un gas inquinante, il diossido di azoto o NO2, universalmente noto per i danni che produce agli apparati respiratori. Al di là della scontata diminuzione del gas nel Nord Italia durante le settimane di mobilità ridotta, mostrata dal video, colpisce notare che a gennaio le zone più interessate dall’inquinamento, Italia settentrionale e area di Madrid, sarebbero poi state quelle maggiormente esposte in Europa all’impatto della COVID-19. Non è una prova di un rapporto causa-effetto, ma sicuramente una tra le tante correlazioni tra inquinamento ed effetti dell’epidemia su cui i ricercatori continueranno ad indagare e far riflettere l’opinione pubblica.

Una seconda interconnessione suggerita dagli effetti socioeconomici del virus è quella che chiama in causa le diseguaglianzeSe il COVID-19 è uguale per tutti nella sua natura, non lo è nelle sue conseguenze. Le diseguaglianze nella classe sociale di appartenenza e nella rete sociale di riferimento producono profonde differenze sulle possibilità di evitare la malattia, sulle possibilità di curarla e, anche per i tantissimi che non ne sono contagiati, sulle possibilità di evitare conseguenze pesanti sul proprio reddito. Abitare in una favela brasiliana o in uno slum indiano o sudafricano rende difficilissimo evitare il contatto sociale e quasi impossibile rinunciare a muoversi per cercare un reddito quotidiano che non è altrimenti garantito se non da piccoli lavori immersi nell’economia informale. Situazioni simili, seppure su scala ridotta, riguardano anche le zone deboli del nostro continente, a cominciare da quelle in cui sono più fragili le sicurezze economiche e i sistemi di protezione sociosanitaria. Ma anche per chi non si ammala, non rischia il lavoro e può permettersi di stare in casa, la diseguaglianza arriva a produrre esiti differenziati. Si pensi a cosa significa per una famiglia con bambini stare forzatamente in un’abitazione, magari piccola, senza sfoghi esterni, mal fornita di mezzi digitali, e in queste condizioni si pensi in particolare alla sorte delle donne, statisticamente esposte più degli uomini ai disagi del ménage familiare (per non parlare poi delle situazioni di violenza domestica, esasperate dal disagio claustrofobico di una convivenza forzata e prolungata).

CAPACITÀ DI DECENTRAMENTO

Una terza interconnessione, quella tra COVID-19 e dinamiche migratorie, può aiutarci a sviluppare la capacità di decentramento, quella capacità attraverso la quale si riesce ad uscire dal solito abito mentale per guardare i fatti anche da punti di vista differenti. La migrazione solitamente è un fenomeno che colleghiamo all’arrivo di quantità rilevanti di persone da paesi economicamente più deboli (oppure esposti a eventi bellici), a paesi economicamente più ricchi e socialmente più stabili, come il nostro. Un fenomeno carico di questioni complesse che mescolano opportunità e possibili arricchimenti reciproci, con difficoltà che toccano sia i migranti, sia la popolazione che li ospita. Ma la COVID-19 ha prodotto anche fenomeni di fuga di migranti, soprattutto est europei, desiderosi di fuggire da un territorio italiano che da opportunità economica stava diventando minaccia sanitaria. Uno dei risultati di questa fuga è il rischio di esporre l’economia agricola italiana a una grave mancanza di manodopera. Una mancanza che rischia di compromettere la produzione di quei beni alimentari che la crisi attuale una volta di più ci ha ricordato essere fondamentali per la nostra stessa esistenza.

DALLA SCALA GLOBALE A QUELLA NAZIONALE

Oltre a sottolineare l’importanza delle interconnessioni, le righe precedenti hanno portato la nostra riflessione a spasso tra differenti scale attraverso cui guardare le conseguenze della COVID-19. Dalla scala globale, nella quale collocare i fenomeni migratori o le sofferenze delle favelas e degli slum, alla scala nazionale entro cui analizzare i problemi dell’agricoltura, fino alla scala domestica dei singoli appartamenti in cui guardare le conseguenze che toccano le quotidianità di ciascuno tra noi. Esaminare i fenomeni attraverso la transcalarità è un ulteriore modo per esercitare le nostre menti a pensare in modo complesso, scomponendo e ricomponendo i temi e gli avvenimenti per trovare nuovi modi di affrontarli. Un esercizio caro a chi si occupa di educazione alla cittadinanza globale e su cui, tra gli altri, ha scritto pagine molto belle il filosofo e sociologo Edgar Morin[1].

IL RUOLO DELLA SCUOLA

E dentro a tutte queste considerazioni quale ruolo può emergere per la scuola, un ambito che in questo periodo è in sofferenza quanto gli altri? Da un lato, nonostante la situazione contingente, la scuola resta il luogo unico nell’intera società in cui le competenze, le capacità, le forme mentali suggerite nelle righe precedenti, non solo possono svilupparsi in modo continuativo e intenzionale, ma possono diventare anche oggetto di riflessione e di meta-cognizione. Cosa sto imparando dalla COVID-19 e soprattutto come lo sto imparando? Con quali percorsi e quali strumenti le nostre menti stanno leggendo ciò che ci accade intorno e come possiamo collegare questi percorsi con quelle forme di organizzazione del sapere che sono le discipline scolastiche? Questioni sicuramente impegnative, ma il cui spirito potrebbe aiutare a coinvolgere gli insegnanti, gli studenti e la scuola nel suo complesso in modo proattivo rispetto all’emergenza.

Su un piano più immediato è invece indubbio che la COVID-19 stia producendo una mutazione mai vista prima delle modalità pedagogiche e didattiche attraverso cui si svolge l’insegnamento. La situazione sta privando gli insegnanti della relazione personale con i singoli studenti e con il gruppo classe, costringendoli a rinunciare a uno dei dispositivi senza il quale il rapporto pedagogico fa inevitabilmente molta più fatica a prodursi, soprattutto con studenti delle fasce di età più giovani. 

DaD: RISCHI ED OPPORTUNITÀ

Da questo punto di vista la didattica a distanza (DaD) presenta rischi ed opportunità. In un paese come l’Italia, in cui la lezione frontale è lo strumento più usato, la DaD rischia di diminuire ulteriormente l’attivazione degli studenti e di contribuire ad escludere quote importanti della popolazione scolastica. Da questo punto di vista i contenuti e le metodologie dell’ECG possono, come sempre - insieme alle competenze digitali - aiutare a mitigare questo rischio, affrontando le domande legittime degli studenti e collegando le loro vite e i loro contesti locali alle grandi sfide globali, stimolandone l’attivazione e le competenze di cittadinanza. Quelle competenze di cittadinanza richiamate più volte in queste settimane come uno degli strumenti fondamentali per la risoluzione di questa crisi (il rispetto di regole comuni per la salvaguardia della salute pubblica, la comunità di intenti verso una diminuzione dei contagi, ne sono un esempio).

Non di meno la didattica a distanza sta producendo una serie di risoluzioni spesso sorprendenti e impensabili fino a poco tempo fa e sarebbe un errore abbandonare completamente le competenze che stanno forzatamente emergendo ora, una volta tornati all’insegnamento d’aula.

Il tipo di didattica emerso da questa fase può infatti divenire uno strumento che, oltre a rafforzare le competenze digitali di insegnanti e studenti, può stimolare alla ricerca di mediatori didattici ulteriori rispetto a quelli verbali, sviluppando ad esempio la capacità di usare in modo didatticamente corretto anche i mediatori iconici (mappe, infografiche, tabelle, carte, link...). La combinazione tra mediatori verbali e mediatori iconici può offrire un’opportunità didattica in più, permettendo di combinare il discorso lineare, analitico e per approfondimenti successivi tipico della cultura pre-digitale in cui molti insegnanti sono nati, con il discorso associativo, orizzontale e sintetico proprio della cultura digitale in cui sono immersi i loro studenti. Aumenta in questo modo sia la possibilità di venire incontro alla diversità degli stili di apprendimento, sia la possibilità di integrare in modo fecondo forme diverse di organizzazione del pensiero. E produce un possibile arricchimento complessivo delle modalità di insegnamento per una vera inclusione

Il presente e il futuro richiedono competenze interdisciplinari, spirito critico, capacità di immaginAZIONE, capacità di guardare le cose da altri punti di vista, di cogliere le interconnessioni. L’approccio dell’ECG (collegato al miglioramento delle competenze di base), ora come non mai, diventa imprescindibile e si conferma uno degli ingredienti principali di quella che Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) definisce una resilienza trasformativa, ovvero “la capacità non solo di tornare a ‘come eravamo’, dopo uno shock, ma di esercitare una spinta in avanti, per diventare migliori”. 


Massimiliano Lepratti, Coordinatore attività educative di Get Up and Goals!
Giordana Francia, Coordinatrice generale di Get Up and Goals!

[1]    MORIN E. (2001) - I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina editore, Milano.

Ultima modifica il Martedì, 09 Giugno 2020 17:19